L’uomo nero

Romeo Ristori

Quando ero piccolo andavo assieme al mio babbo nella montagna del Pratomagno, dove lui faceva il lavoro del carbonaio e io gli facevo compagnia. Lassù in montagna non c’era la casa per dormire dopo il lavoro. Non si poteva tornare a Raggiolo dal Pratomagno perché si dovevano per correre dieci chilometri per tornare al paese e altri dieci per tornare lassù. Era troppo faticoso, dopo il duro lavoro di una giornata, fare quella camminata. Così si decise di fare una capanna di zolle. Lì dentro ci si dormiva e ci si riparava quando scoppiava qualche temporale. Per dormire si fece un letto, detto “rapazzuola”. Era costruito anch’esso con i legni e nel posto del materasso di vegetale o lana si tagliavano le frasche dei faggi e poi le felci per stare morbidi, e se ci faceva freddo durante la notte ci si copriva con le balle del carbone. A Raggiolo c’era una bambina che non voleva mangiare e la sua nonna gli raccontava sempre le novelle mentre la imboccava e quando perdeva la pazienza gli diceva che per il paese girava l’uomo nero che, se la vedeva, gli avrebbe mangiato tutto lui. Quando un giorno tornai dalla montagna ero tutto nero di carbone e mentre andavo a casa incontrai quella bambina che appena mi vide scappò in casa e si mise a piangere dalla paura, perché si avverò quello che gli aveva detto la sua nonna. Io rimasi tanto male di questo fatto e nei giorni successivi e per molto tempo dicevo alle mamme che non si devono dire cose non vere alle bambine perché sennò ci stanno male.